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La Storia

Nel luogo in cui oggi sorge il convento esisteva un imponente castello, edificato in epoca longobarda su una precedente costruzione romana; probabilmente un accampamento  di legionari a presidio dell’importante via di comunicazione tra la pianura padana e l’oltralpe. Il castrum di  Mesma secondo gli studiosi era simile a quello di Buccione, per  tecnica costruttiva e dimensioni delle torri. Il fu occupato, ampliato e fortificato dal Comune di Novara agli inizi del Duecento, nella fase di espansione sul territorio del Cusio. Alla base del colle, verso sud  il Comune edificò il borgo di Mesmella, a difesa del castello,  e come sistema per incunearsi nelle terre di pertinenza del vescovo di Novara, possedute sul Cusio. Le controversie tra il Comune e Vescovado durarono fino al 1219, quando, a seguito di un arbitrato, il comune  dovette restituire all’episcopato i castelli e i villaggi posti a nord della Baraggia di Briga e distruggere Mesmella; al Comune di Novara rimase il possesso del monte e del castello di Mesma.  Durante l’episcopato di Giovanni Visconti (1329 – 1342)  il castello passò nelle sue quale signore di Novara, egli lo donò a un suo parente. Tale  Giovanni Visconti da Oleggio perseguitò gli abitanti di Ameno e di Lortallo, che utilizzavano i boschi e i pascoli di Mesma. Nel 1332 il Vescovo gli proibì queste azioni, ma quando nel 1336, il da Oleggio divenne podestà di Novara e con un decreto vietò alle due comunità di utilizzare il territorio di Mesma. Ma la disposizione fu abrogata nel 1349 dal nuovo vescovo Guglielmo: ai paesi della Riviera era concessa la libertà d’uso del castello e del territorio circostante; ma Giovanni Visconti iniziò a  perseguitare coloro che erano sorpresi sul monte. Le comunità si rivolsero all’arcivescovo di Milano, signore di Novara, che nel 1322 gli vietò di molestarli quando si recavano sul Mesma per  pascolare, raccogliere lo strame, o per tagliare i virgulti del sottobosco. Gli abitanti della Riviera,  durante la crisi politica del comune novarese, distrussero il castello tra l’agosto e l’ottobre del 1358.  Il da Oleggio accettò il fatto e tre anni più tardi vendette per cinquanta fiorini d’oro agli abitanti di Lortallo i diritti sul castello e il monte di Mesma.  Ameno e Lortallo si scontrarono per alcuni decenni, per l’uso del Mesma, ma  nel 1439, si accordarono per uno sfruttamento comune.

Annesso al castello esisteva un piccolo oratorio, ritenuto di origini altomedievali dedicato alla Madonna, ma con i ruderi del castello venne poi edificato un oratorio dedicato a San Francesco.

Nel 1618 Francesco Obicini, frate minore originario di illustre famiglia di Ameno, ne ottenne il possesso,  l’anno successivo prese avvio la costruzione del convento.

Con il fratello, anche lui frate, Bernardino, propose alla Comunità di Ameno di cedere ai Riformati lo spazio alla sommità di Mesma per erigere una casa religiosa, usando anche le pietre dal castello distrutto. Gli Obicini appartenevano a famiglia notabile, i cui membri avevano esercitato il notariato e rivestito cariche quali sindaco, capo delle milizie, consigliere generale della Riviera, con vari rappresentanti nel clero secolare e regolare. Padre Bernardino rivestì ruoli prestigiosi nell’ordine, morì nel 1621. Padre Francesco fu guardiano in vari conventi e morì mentre era al convento di Mesma nel 1633.

L’idea non  fu accolta per opposizione degli Ameniesi, motivata in particolare  dalla scarsa fertilità del luogo, che non dava possibilità di una buona questua, particolarmente per l’esistenza del convento cappuccino del Sacro Monte d’Orta, che sollevava lamentele in merito. Anche l’allora vescovo di Novara Taverna, si oppose all’idea. In effetti l’anno 1618 fu segnato da una grave carestia. Motivazioni che sembravano pretestuose agli Obicini. Lo storico Cotta a fine Seicento scrive: “Ma la Provvidenza divina quando vuole in un attimo supera ogn’oppositione; muta le volontà umane; vince ogni difficoltà; e fa comparire agevolissimo quello che fù già appreso per impossibile. Correva l’anno 1618 di nostra salute, quando che Gio. Angelo Agazzino, Gio. Angelo Anto-nino, Fabrizio Agazzino, e molti altri de’ principali d’Ameno, giovani di spirito, si ritrovarono secondo l’uso del paese ne’ giorni estivi à ricrearsi a una delle fontane del Colle di Mesima; e doppo essersi colà ricreati col cibo, e con la frescura di quell’acque, divertendosi in discorsi sollazzevoli, come accade agli uomini di quell’età in simili congiunture; il fece Iddio cader sotto li occhi le rovine del Castello ivi avanzate, e intavolarsi da loro discorsij seri  e quali invehirono contro se stessi, e tutta la Comunità biasimando, e detestando l’inflessibil’ostinazione, e durezza, con la quale havevano impugnata a’ Pp. Obicini la proposizione della fabrica del Convento, e riconoscendo l’inurbanità usata verso compatrioti si bene-meriti proposero, e risolsero d’emendar l’errore”.

Infine, nonostante una certa avversione dimostrata dal curato di Ameno don Farabino, seguito dagli anziani, l’assemblea comunitaria accettò la proposta, dando mandato ai giovani promotori e a padre Bernardino di recarsi al convento di Varallo a comunicare la notizia a padre Francesco, che ne era guardiano.

L’opera del Cotta riferisce un dettagliato racconto, un vero affresco, interessante storia di fondazione e evoluzione del convento di Mesma, che non è limitata alla semplice narrazione, a volte un po’ enfatica, del sorgere di un complesso religioso, con tutti i suoi annessi e riflessi, ma coinvolge aspetti politici, dinamiche interne, campanilismi fra i paesi della Riviera dove si fronteggiano da un lato Orta e l’Isola, luoghi del governo, e dall’altra Ameno e alcune comunità vicine della Riviera orientale, che in fondo reclamavano diritti decisionali. Dunque da un lato l’Isola con il suo ancora potente capitolo canonicale, col seminario episcopale, dall’altra Orta fiera del suo Sacro Monte, la cui edificazione ebbe anche dei risvolti economici. Mesma e i Riformati, il Monte d’Orta coi Cappuccini, non sono semplicemente due luoghi sacri e conventuali, abitati da preziose presenze religiose, ma sono anche espressioni differenziate, e in un certo senso contrapposte, di due realtà comunitarie.

A conoscenza di questi intenti gli Obicini agirono con rapidità per garantire la fondazione di Mesma, avvalendosi anche dei buoni uffici di donna Margherita Taverna, cognata del presule novarese, e ottennero il 18 agosto 1619 un decreto episcopale di autorizzazione per la costruzione del convento. Si decise di dar immediatamente corso all’opera, stabilendo le modalità della donazione, nel frattempo era giunto frà Giuseppe da Arzago, custode provinciale dei Riformati, che il 29 agosto 1619, si recò con gli Obicini e il popolo di Ameno e di Lortallo sul Mesma, nel cui antico oratorio venne celebrata la Messa dal canonico di San Giulio e vicario foraneo della Riviera, l’ameniese Giovanni Battista Ferino e quindi il notaio Gio. Angelo Agazzino redasse l’atto di donazione con 45 voti di Ameno e 3 di Lortallo, in cui si specificavano alcuni punti:

1-Venivano ceduti ai Riformati l’oratorio, le case annesse, gli orti, le vigne, i prati, i campi, terreni colti e incolti e gli alberi di castagno ivi esistenti. I frati potranno costruire con le elemosine presso l’oratorio un monastero e abitarlo in numero sufficiente, e celebrare nell’oratorio gli uffici divini diurni e notturni e amministrare i sacramenti agli uomini di Ameno e Lortallo, fatto salvo ogni diritto parrocchiale.

2- Se lo spazio concesso non fosse sufficiente, i frati potevano estendersi anche all’intorno, per circondare di cinta il loro monastero, purché lascino l’accesso alla fontana esistente sul monte, che serve ad abbeverare le bestie ivi pascenti.
3-  Gli uomini di Ameno e di Lortallo in nessun tempo dovevano essere obbligati alle spese di costruzione del monastero o di restauro dell’oratorio annesso.
4-  Nel caso in cui i frati si fossero allontanati  e non celebrassero, ogni cosa sarebbe ritornata agli uomini di Ameno e Lortallo, e riportata allo stato precedente. Il terreno donato ai frati non superva dieci pertiche, gli edifici erano quattro “rozzi tuguri”.

Dopo la stipula dell’atto, in segno d’acquisito possesso, Padre Obicini, innalzò sul piccolo sagrato dell’oratorio un’alta croce coperta alle estremità di risplendenti  lastre bianche, per riflettere i raggi del sole. Il 1° settembre successivo padre Francesco Cattaneo d’Arzago, giunto da Milano, benediceva la prima pietra del convento, collocata da Francesco Zanone detto il Ceranino,  che per avere questo onore, fra molti concorrenti, aveva offerto di 50 scudi d’argento. La cerimonia di fondazione venne festeggiata col suono delle campane, lo sparo dei moschetti e fuochi notturni.-

I lavori presero avvio, vennero restaurate le piccole abitazioni e spianata la parte superiode del monte, con il materiale di risulta fu creata la piazzetta e il giardino dei frati a due ripiani, si cominciò anche l’edificazione della chiesa conventuale, mantenendo all’interno il primitivo oratorio.

La fondazione francescana di Mesma, che dapprima aveva suscitato anche toni di derisione, divenne oggetto di gelosia, in particolare nei Cappuccini del Monte di Orta, che temevano il danno derivato da un nuovo insediamento nello stesso bacino di utenza e di questua. Unendosi alla Comunità di Orta inviarono al Vicario capitolare di Novara a metà settembre “un voluminoso memoriale impastato da tanti raggiri”. In seguito un gruppo di facinorosi ortesi si recarono nottetempo a Mesma, dove strapparono la croce e affissero a una parete biglietti d’ingiuria contro gli abitanti di Ameno. Il mattino seguente padre Obicini, che ancora risiedeva con gli altri frati ad Ameno, scoprì il misfatto e la notizia si diffuse; vennero posti una decina di giovani armati a difesa del luogo. Inoltre, una persona, di cui Cotta non  riferirì il nome, si recò al Sacro Monte d’Orta con una balestra e un perticone con punta di ferro, e lì spezzò il maggior numero possibile di cappucci e barbe alle statue delle cappelle, volendo significare la vendetta con il danneggiamento dei segni tipici dei Cappuccini, la barba e il cappuccio. Il danno anche materiale arrecato all’arredo delle cappelle fece infuriare gli ortesi.

Nel settembre del 1619 era morto il cardinale Taverna, che forse avrebbe mitigato la contesa fra i due ordini religiosi e i loro fautori, e gli oppositori del progetto  riuscirono nell’intento, ottenendo un decreto vescovile che intimava la sospensione delle opere. Nel marzo del 1620, dopo la ripresa dei lavori sospesi per l’inverno, si recò a Mesma il fiscale della Castellania, con un gruppo di faziosi, col pretesto di eseguire alcuni decreti della Curia romana, esibendo uno scritto. Ma il fatto più grave si ebbe quando venne all’orecchio agli uomini di Ameno che la mattina del 1 maggio 1620 sarebbe stato consegnata ai frati l’intimazione ad abbandonare il convento. Decisero di impedirlo a ogni costo, e la notte precedente si appostarono alle falde del Mesma, aspettando l’arrivo del fiscale. E quando lo videro salire a Mesma, l’assalirono a sassate e schioppettate. Il gruppo col fiscale fuggì verso  la riva del lago e rimontando sulle barche.

Il vicario episcopale ordinò al castellano dell’isola di allontanare dalla diocesi padre Obicini, mandare i via i frati da Mesma e chiudere le stanze dove vivevano, affinché non diventassero covo di malfattori. Il 17 luglio 1620 fu dato corso al provvedimento e il luogo affidato in custodia a tre laici, le suppellettili vennero inventariate e portate all’isola. Sembrava veramente persa ogni speranza di portare a termine il progetto, anche perché la relazione spedita dal prevosto di Omegna, incaricato già dal marzo del 1620 di informare la Curia romana sul caso, dichiarava la non possibilità della Riviera di sostenere due conventi. Dopo la sua partenza l’Obicini aveva ottenuto dal ministro generale dell’ordine di andare a Roma a discutere la questione.

Nel frattempo le comunità locali, per dissipare ogni dubbio circa l’impossibilità di mantenere due fondazioni religiose, l’11 luglio 1621 si riunirono nell’oratorio di San Bernardino 97 capi di famiglia di Ameno e 10 di Lortallo impegnandosi, con atto rogato dal notaio Giovanni Angelo Agazzini, per sé e per i  successori, con i beni propri e quelli dei rispettivi comuni, per concorrere al mantenimento di 15 frati a Mesima “di tutto quel che gli farà bisogno, come sopra di giorno in giorno, e di mano in mano, e di tempo in tempo” nel caso in cui fossero venute meno le necessarie offerte. Si tratta di un atto importante che dà chiaro significato della forte determinazione di sostenere in ogni caso la fondazione minoritica, in un certo senso è una dichiarazione di “autonomia” dalla capitale della Riviera.

Il 21 gennaio 1622 la Congregazione romana deliberò che i lavori di Mesma proseguissero e che vi potessero ritornare i frati, comunicandolo al vescovo di Novara con lettera affidata direttamente all’Obicini. Il vicario episcopale comunicò la deliberazione romana al castellano dell’isola, che provvide a informare i Cappuccini. Il 15 febbraio 1621 i frati tornarono a Mesma e i lavori vennero ripresi con lena. La comunità di Ameno destinò alla costruzione buona parte delle proprie rendite, vennero venduti vari beni che appartenevano all’antico oratorio di Mesma, furono raccolte molte offerte e sul finire dell’anno la chiesa era compiuta fino al cornicione, terminato l’andito d’accesso al convento e le prime celle. Nel 1623 venne effettuata la copertura della volta della chiesa e quindi demolito l’oratorio che ancora era contenuto. Fedele alla promessa fatta padre Obicini fece erigere l’altare di sant’Anna, nel luogo in cui ancora attualmente si trova la cappella sotto questo titolo, e qui il 3 maggio 1624 celebrò una messa solenne.

Nel  1625 la chiesa era finita, anche se la vera conclusione dell’edificio è da porre nel 1666, e venne consacrata solo il 2 settembre 1629 dal vescovo Volpi, che concesse l’indulgenza di 40 giorni nel giorno di commemorazione della consacrazione, fissato nella prima domenica di settembre. L’atto è ricordato in una lapide murata nella controfacciata della chiesa.

La chiesa, che manteneva l’orientamento del precedente oratorio, è già una edificio secentesco, secondo la tipologia delle chiese dell’osservanza del tempo, quindi ormai priva del tipico transetto dipinto, ad aula unica con coro e quattro cappelle laterali, poste sulla sinistra. La facciata è a due salienti, preceduta da portico con finestra serliana e oculo, i salienti laterali comprendono nella parte sinistra la cappelle e nella destra l’accesso al primo chiostro del convento. Il portale e ornato da una lunetta affrescata che rappresenta san Francesco e la Vergine.

Il convento si articola su due chiostri, di grande suggestione “realizzati con una architettura molto sobria; intorno ai due cortili corre una serie di archi ribassati sorretti da colonne in granito in stile toscano poggianti su basso muretto. I due spazi, comunicanti tra di loro, sono molto simili, il modulo è raddoppiato creando un bipolarismo che, senza disturbare l’intimità dei singoli spazi, ne aumenta la circolarità. I due chiostri, oltre ad avere la funzione di spazi destinati alla meditazione e alla preghiera, sono anche struttura di raccordo fra le varie parti del complesso”. Il primo chiostro venne dotato nel 1633, sotto la guardianìa di padre Bartolomeo da Acquate, della grande cisterna per l’approvvigionamento dell’acqua, e nel 1635 la costruzione era conclusa.