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Non più accusatori, ma custodi di vita

fr. Maggiorino

Il racconto dell'incontro tra Gesù e la donna adultera (Gv 8,1-11) ci spinge a riflettere sul nostro modo di giudicare noi stessi e gli altri. Questo episodio, intrecciato con la speranza di Isaia (Is 43,16-21) e la corsa verso la meta di Paolo (Fil 3,8-14), ruota attorno alla misericordia che libera dal passato e apre al futuro. La scena è carica di tensione: una donna sorpresa in adulterio è trascinata davanti a Gesù. Scribi e farisei, più che cercare giustizia, vogliono intrappolare Gesù, usando la Legge e il peccato della donna come strumenti per accusarlo, cercando una condanna che metta alla prova la sua predicazione di misericordia. È l'atteggiamento di chi, forse per distogliere lo sguardo dalle proprie fragilità, punta il dito, si erge a giudice, cerca il male nell'altro per sentirsi giusto.

Scrivere sulla Terra, Parlare al Cuore

Gesù evita la trappola con un silenzio assordante, chinandosi a scrivere per terra. Il testo non rivela cosa scrivesse, ma forse il gesto indicava il rifiuto di giudicare secondo la carne, ossia quel tipo di giudizio proposto dagli scribi e dai farisei basato solo sulle apparenze e sull'atto commesso, senza considerare la persona o la possibilità di pentimento ("io non giudico nessuno", Gv 8,15). Potrebbe anche essere stato un segno profetico rivolto non tanto ai peccati, quanto ai peccatori presenti, gli accusatori stessi. Infatti, di fronte alla loro insistenza, Gesù risponde: "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". Un invito a riflettere su sé stessi, ricordando che "tutti hanno peccato" (Rm 3,23) e la necessità di togliere la trave dal proprio occhio prima di giudicare (cfr. Mt 7,5). Gesù sposta l'attenzione dalla donna ai suoi accusatori.

Dallo Sguardo che Accusa allo Sguardo che Salva

Sorge spontanea una domanda che ci interpella profondamente: siamo più simili agli accusatori o a Gesù? Siamo davvero disposti a guardarci dentro con onestà, riconoscendo ciò che non va in noi, oppure preferiamo proiettare sugli altri i nostri fallimenti? Di fronte alle parole di Gesù, gli accusatori si allontanano "uno per uno, cominciando dai più anziani". Forse questi ultimi, con il peso degli anni e dei peccati accumulati, erano più consapevoli della propria fragilità e condizione umana. Si ritirano, sconfitti non da Gesù, ma dalla verità che li ha colpiti. E noi? Assumiamo con facilità il ruolo del giudice, pronti a scagliare pietre, oppure siamo capaci di uno sguardo di misericordia che trasforma e guarisce?

Quando tutti se ne sono andati, la scena si svuota. Restano solo loro due. Come disse potentemente Sant'Agostino: "Due sono rimasti, la miseria e la misericordia".

Il Dialogo che Libera e Apre al Futuro

È significativo che gli accusatori se ne siano andati senza mai rivolgere la parola alla donna. L'avevano imprigionata nel cerchio del loro giudizio silenzioso, lasciandola bloccata "in mezzo". Per liberarsi, era necessario che qualcuno le parlasse, rompendo le catene del suo peccato. Ed è Gesù a farlo. Si alza e le rivolge la parola: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Alla sua risposta: "Nessuno, Signore", Gesù pronuncia parole che non sono solo un atto di clemenza verso il passato, ma un invito potente a costruire un futuro nuovo: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più". Con queste parole, la donna diventa "una persona con un avvenire". La legge non viene abolita, ma resa più umana, un percorso di vita e di riscatto. Gesù si rivela come il Dio che "non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva" (cfr. Ez 33,11), Colui che è venuto "per cercare e salvare ciò che era perduto" (Lc 19,10). Il silenzio del testo sui sentimenti della donna sottolinea la gratuità dell'azione salvifica di Gesù. La conversione offerta è un taglio netto con il passato e un invito a intraprendere una nuova strada.

La "Cosa Nuova" nel Deserto dell'Esistenza

Questa scena evangelica trova un'eco straordinaria in un passo del profeta Isaia, dove Dio si rivolge al suo popolo in esilio, abbattuto e segnato dai propri errori. Tuttavia, Egli non li abbandona alle catene del passato, ma annuncia una "cosa nuova": "Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa" (Is 43,19). È una promessa di liberazione, un invito alla speranza che rifiorisce proprio dove sembrava esserci solo aridità.

Così come Dio promette una via nel deserto, Gesù offre alla donna adultera una nuova possibilità, un cammino di redenzione. La misericordia divina spalanca vie inaspettate, facendo germogliare vita nuova persino dalle nostre rovine. Anche l'apostolo Paolo, nella sua lettera ai Filippesi, esorta a guardare avanti con determinazione. Egli si protende verso la meta: "dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta" (Fil 3,13-14). Questa corsa è alimentata da una speranza che non permette di rimanere intrappolati nei giudizi sul passato. Proprio perché Dio è il Dio della vita, ciascuno di noi può, come Paolo, "dimenticare il passato e proiettarsi verso il futuro, correndo con fiducia verso la mèta".

Diventare Custodi di Vita

Questo Vangelo ci sfida a un cambiamento di prospettiva radicale. Siamo chiamati a deporre le pietre dell'accusa e del giudizio. Siamo invitati ad accogliere per primi la misericordia di Dio, che ci conosce ma non ci condanna, che vede il peccato ma crede nella nostra capacità di risollevarci. È l'invito pressante di Gesù: "Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati" (Lc 6,36-37). Solo sperimentando questa misericordia possiamo diventare, a nostra volta, custodi di vita per i nostri fratelli e sorelle.

Siamo disposti a riconoscere la "cosa nuova" che Dio vuole far germogliare in noi e negli altri? Che lo sguardo di Cristo sulla donna adultera – uno sguardo di verità e di infinita misericordia – possa diventare il nostro modo di guardare il mondo e noi stessi. Non più accusatori, ma appassionati custodi della vita che Dio desidera per tutti.