Da Babele a Pentecoste: quando la dispersione diventa missione


fr. Maggiorino Stoppa
La dispersione come compimento, non come castigo
Nel libro della Genesi, gli uomini di Babele costruiscono una torre "la cui cima tocchi il cielo" per non disperdersi sulla faccia della terra. Eppure, proprio questa dispersione era il comando originario dato da Dio all'umanità: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra" (Gen 1,28).
La confusione delle lingue, lungi dall'essere una maledizione, si rivela paradossalmente parte del progetto divino. Gli esseri umani, inclini a resistere al cambiamento e alla diversità, aspiravano a un'unità statica e autoreferenziale. Dio interviene per liberarli da questa tentazione, guidandoli verso una varietà che non solo arricchisce il mondo, ma compie la pienezza della creazione.
Il sottile confine tra unità e uniformità
Babele rappresenta il paradigma dell'uniformità: un solo linguaggio, un solo progetto, una sola visione. È l'illusione di un'armonia costruita sull'annullamento delle differenze, innalzando torri che aspirano al cielo ma che affondano le radici nella paura del diverso.
Pentecoste, al contrario, manifesta l'autentica unità nella diversità. Lo Spirito Santo non abolisce le lingue diverse ma permette a ciascuno di udire "nella propria lingua nativa" (At 2,8) l'unico messaggio di salvezza. Non si tratta di tornare a un'uniformità perduta, ma di scoprire una comunione più profonda che valorizza e celebra le differenze come doni reciproci.
L'uniformità genera chiusura e timore; l'unità autentica produce apertura e missione.
Mentre Babele si costruisce per "farsi un nome" in un gesto di autoaffermazione, Pentecoste spinge i discepoli fuori dal cenacolo verso tutti i popoli della terra.
Lo Spirito parla tutte le lingue
La tradizione francescana ci insegna a riconoscere le tracce del divino in ogni autentica espressione umana. È un'intuizione che trova una delle sue più alte espressioni nel pensiero di San Bonaventura, che parlava delle vestigia Dei, le "orme di Dio" che ogni creatura porta impresse in sé. Lo Spirito, quindi, non si limita a parlare attraverso i canali ufficialmente "sacri", ma si manifesta ovunque fiorisca bellezza, verità e bontà.
L'arte, in tutte le sue forme, diventa veicolo dello Spirito quando nasce da un'ispirazione autentica e cerca di comunicare ciò che le parole non possono esprimere. Un dipinto, una sinfonia, una poesia possono aprire finestre sull'infinito tanto quanto una preghiera liturgica. La logica dell'Incarnazione ci rivela che tutto ciò che è profondamente umano può diventare trasparenza del divino.
Questa visione amplia anche il nostro sguardo sulla carità. Ovunque nel mondo uomini e donne si dedicano al servizio del prossimo, lottano per la giustizia, costruiscono ponti di pace, lì soffia lo Spirito. Non importa se portano etichette religiose o meno: il bene autentico ha sempre la firma di Dio.
Una missione per il nostro tempo
La comprensione rinnovata del rapporto tra Babele e Pentecoste trasforma radicalmente il nostro approccio alla missione. Non si tratta più di "portare Dio" in un mondo che ne sarebbe privo, ma di sviluppare occhi capaci di riconoscere la presenza dello Spirito già all'opera nelle mille lingue dell'umanità contemporanea.
Questa prospettiva richiede umiltà e capacità di ascolto. Significa accostarsi alle culture, alle esperienze, alle ricerche umane non con l'atteggiamento di chi possiede tutte le risposte, ma di chi sa che lo Spirito può parlare attraverso voci inaspettate. La diversità non è più ostacolo ma opportunità, non minaccia ma ricchezza da scoprire.
Il cammino da Babele a Pentecoste non è un percorso lineare dal male al bene, dalla punizione alla grazia. È piuttosto la rivelazione progressiva di un disegno che fin dall'inizio vedeva nella molteplicità il riflesso della ricchezza infinita di Dio. La dispersione di Babele preparava già la comunione di Pentecoste, insegnandoci che l'unità vera non nasce dall'eliminazione delle differenze ma dalla loro armoniosa composizione.
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