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Il Silenzio che Prepara l'Aurora: Abitare l'Attesa tra la Croce e la Vita Nuova

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“È compiuto!”. Con queste parole, riportate nel Vangelo di Giovanni, Gesù consegna lo spirito sulla croce, e cala un silenzio profondo. La terra sembra trattenere il respiro. La narrazione evangelica non riporta reazioni immediate dai discepoli, tutto appare sospeso. Questo silenzio non è solo assenza di suono, ma il peso della perdita e dello smarrimento. Gesù, la Parola fatta carne, ora giace muto nel sepolcro. La sua voce e i suoi gesti, che portavano consolazione, sono un ricordo lontano. Per i discepoli, il silenzio è assordante, riflette la loro confusione e paura. Pietro ha rinnegato il Maestro, gli altri si sono dispersi per timore. Il silenzio di Dio crea una tensione fortissima. La Parola per mezzo della quale tutto è stato fatto ora tace, sconfitta apparentemente dalla morte. È davvero solo la fine? O nasconde una promessa, un preludio a qualcosa di inaudito? Come risuona questo silenzio nelle nostre vite, nei momenti bui in cui la speranza vacilla?

Quando Dio Sembra Tacere: Il Peso dell'Attesa

Quante volte nella vita ci troviamo a vivere un nostro "sabato santo"? Un tempo sospeso, un’attesa infinita: la risposta a una preghiera che non arriva, una guarigione che sembra impossibile, un cambiamento che non si concretizza. L'incertezza del futuro, il peso di un lutto, il dubbio che corrode la fede. Sono momenti in cui il silenzio di Dio può diventare assordante. Quando la sofferenza ci avvolge, ci chiediamo: "Dove sei, Signore?". Questo silenzio può generare angoscia e smarrimento, persino un senso di ribellione, facendoci sentire soli come i discepoli dopo la morte di Gesù: confusi, impauriti, senza una direzione chiara. È importante riconoscere che sentirsi così fa parte dell'esperienza umana e spirituale. Non siamo i primi né gli ultimi a percorrere questa valle oscura.

Il giorno liturgico che la Chiesa dedica al silenzio e all'attesa ci ricorda proprio questo: Cristo stesso ha condiviso la nostra condizione umana fino in fondo, fino all'esperienza della morte e del silenzio del sepolcro. La sua discesa "agli inferi", nel regno della morte (Sheol o Ade), non è un mito astratto, ma l'espressione della sua radicale solidarietà con noi. Egli ha raggiunto l'umanità nella sua condizione più estrema, là dove regna l'assenza apparente di Dio.

Ma questo silenzio divino, pur mettendoci alla prova, non è segno di abbandono. Può essere uno spazio misterioso e necessario dove la nostra libertà si esprime nella fede, basata sulla fiducia in Dio. Una fede che non si appoggia su segni evidenti o risposte immediate, ma sulla fiducia nuda in Colui che ha promesso. La discesa di Cristo nel silenzio della morte, inoltre, trasforma questo silenzio in una presenza attiva, proclamando la liberazione ai giusti e rendendo l'abisso della morte un luogo di solidarietà divina.

Semi di Coraggio nel Buio

Proprio nel momento più buio, quando il Maestro è morto, i discepoli più vicini sono paralizzati dalla paura e Dio sembra aver voltato le spalle, emergono due figure inaspettate: Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Entrambi erano discepoli di Gesù, ma in segreto, "di nascosto per timore dei Giudei". Giuseppe era un membro autorevole del Sinedrio, Nicodemo un fariseo e un capo dei Giudei, venuto da Gesù di notte. Figure rispettate, ma timorose di compromettere la loro posizione.

Eppure, è proprio ora, nell'ora della sconfitta apparente, che trovano un coraggio sorprendente. Giuseppe si fa animo, chiede a Pilato il corpo di Gesù (Gv 19,38). Un atto non privo di rischi, dato che chiedere il corpo di un giustiziato per motivi politici poteva attirare sospetti. Nicodemo, l'uomo del dialogo notturno e delle domande caute, si unisce a lui, portando trenta chilogrammi, una quantità impressionante, di mirra e aloe, per preparare il corpo alla sepoltura. È come se, vedendo l'amore spinto fino all'estremo sulla croce, la loro paura si fosse dissolta.

Il Giardino del Nuovo Inizio

Il vangelo di Giovanni pone una particolare enfasi sul luogo della sepoltura: “Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo...” (Gv 19,41). Questa non è una semplice nota topografica, ma un dettaglio carico di significato simbolico. È facile vedere il richiamo diretto al giardino dell’Eden, luogo della creazione ma anche della caduta.

La collocazione del sepolcro all'interno del giardino, e il giardino stesso nel luogo della crocifissione, sottolinea potentemente l'intima connessione tra morte e risurrezione. La redenzione non avviene fuggendo dalla sofferenza e dalla morte, ma trasformandole dall'interno. La vita nuova non germoglia lontano dal luogo della caduta e del dolore, ma proprio lì, fecondando la terra stessa della nostra mortalità.

L'Attesa Feconda: Il Silenzio Non È Vuoto

Arriviamo così al cuore del messaggio: il tempo che intercorre tra l'evento della Croce e l'alba della Risurrezione, quel tempo simboleggiato dal grande silenzio del Sabato Santo, non è un vuoto sterile. Non è un'assenza priva di significato. È, piuttosto, uno spazio di transizione denso e carico di promessa. È un'oscurità fertile, come quella della terra che accoglie il seme, dove la vita nuova sta misteriosamente germogliando. È una pausa necessaria nel grande dramma della salvezza, la fase nascosta di una trasformazione radicale.

Dio è potentemente all'opera anche quando tutto sembra immobile, silenzioso, finito. Non esiste luogo, nemmeno l'abisso della morte o della nostra disperazione più profonda, che sia fuori dalla portata della sua azione salvifica. Cristo scende anche nei nostri "inferi" personali, nelle nostre oscurità, per portarvi la sua luce e la sua speranza.

Questa dinamica di trasformazione dal buio alla luce, dalla distruzione alla ricostruzione, è splendidamente catturata in un'antica e potente orazione della Veglia Pasquale:

«O Dio, potenza immutabile e luce che non tramonta, guarda con amore al mirabile sacramento di tutta la Chiesa e compi nella pace l’opera dell’umana salvezza secondo il tuo disegno eterno; tutto il mondo riconosca e veda che quanto è distrutto si ricostruisce, quanto è invecchiato si rinnova, e tutto ritorna alla sua integrità, per mezzo di Cristo, che è principio di ogni cosa».

Questa preghiera ci assicura che, anche nel cuore del silenzio e dell'apparente rovina, l'azione creatrice e ricreatrice di Dio è all'opera per riportare tutto alla sua pienezza originale, attraverso Cristo.

Vivere nel Silenzio con Fiducia

I tempi di silenzio, di attesa, di apparente assenza di Dio non sono incidenti di percorso nel cammino della fede, ma ne fanno parte integrante. Sono momenti che ci accomunano all'esperienza dei discepoli e a quella di innumerevoli uomini e donne lungo la storia. Non sono tempi da fuggire o da riempire frettolosamente di rumore, ma da "abitare".

Abitare il silenzio non significa subirlo passivamente. Significa scegliere di rimanere presenti: presenti a noi stessi, con le nostre paure e le nostre domande; presenti a Dio, anche quando la sua voce sembra lontana. Significa coltivare un ascolto interiore più profondo, un'attenzione vigile.

Siamo invitati ad abitare questi tempi con la stessa "quieta fiducia". La fiducia di Maria, ma anche quella, nata nel crogiolo della crisi, di Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. La fiducia che il seme gettato nel solco oscuro della sofferenza, della morte e del silenzio non marcisce inutilmente, ma sta preparando un frutto inaspettato.

Possiamo allora accogliere i nostri "sabati santi", personali e collettivi, non come tempi di vuoto e disperazione, ma come spazi potenzialmente fecondi. Spazi per approfondire la nostra fiducia in Dio al di là delle evidenze sensibili, per coltivare la virtù tenace della speranza, e per aprirci all'azione nascosta ma potente di Colui che, dal silenzio più profondo, sa sempre far scaturire una nuova aurora di vita.

La questione di un dio che pare assente

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Il racconto della Passione di Gesù, che la liturgia ci ripropone con forza nella Settimana Santa, non è semplicemente la cronaca di eventi accaduti duemila anni fa in una lontana provincia dell'Impero Romano. È una storia viva, pulsante, che continua a ripetersi e a interpellarci profondamente nel nostro presente.

L'Oscurità sulla Terra e nel Cuore

Gli evangelisti descrivono le ore culminanti della vita terrena di Gesù avvolte da un'oscurità innaturale: "Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio" (Lc 23,44). Quel buio che copre il Golgota non è solo un fenomeno cosmico, ma il simbolo potente delle tenebre che avvolgono il cuore umano di fronte al male, all'ingiustizia, alla sofferenza innocente.

Non dobbiamo guardare lontano per ritrovare quella stessa oscurità. Basta aprire un giornale, ascoltare un notiziario: guerre che dilaniano popoli, violenze che calpestano la dignità umana, catastrofi naturali e crisi sociali che gettano nello sconforto intere comunità. Il grido di dolore che sale dalla terra oggi riecheggia potentemente il travaglio vissuto da Gesù sulla croce. La sua Passione non è solo una vicenda antica, ma lo specchio fedele del dramma dell'umanità di ogni tempo.

Il Grido dello Scandalo: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?"

Al centro della Passione risuona un grido che lacera il silenzio e sfida ogni nostra certezza: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,45; Mc 15,34). È il grido di Gesù sulla croce, riportato da Matteo e da Marco. Anche se l'evangelista Luca attenua questo scandalo riportando le parole di affidamento "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,6), il grido di abbandono rimane, sconvolgente.

Quante volte, nel cuore della prova, nella malattia, nel lutto, nell'ingiustizia subita, questo stesso grido sale anche dalle nostre labbra? Quanti uomini e donne, oggi, si sentono persi, dimenticati, abbandonati da un dio che sembra sordo e lontano? La Passione ci costringe a confrontarci con questo scandalo: lo scandalo di un Messia sofferente e di un mondo che, a tratti, sembra privo della presenza divina.

Fughe e Tentativi di Spiegazione

Di fronte a questo mistero l'umanità ha spesso cercato scorciatoie, tentativi di "addomesticare" lo scandalo della Croce.

Una prima via è stata quella di pensare a un Dio che ha bisogno della sofferenza, quasi che il dolore fosse un prezzo necessario da pagare per la salvezza, un tributo richiesto persino al Figlio innocente. Ma può un Dio d'Amore nutrirsi di sofferenza? Può un Padre desiderare la morte atroce del Figlio? Questa immagine deforma il volto di Dio rivelato da Gesù stesso. Come afferma l'apostolo Giovanni: "Dio è amore" (1 Gv 4,8).

Un'altra strategia, forse più diffusa, è quella di saltare rapidamente dalla Croce alla Risurrezione. Si vede la Passione come un semplice incidente di percorso, un momento oscuro ma temporaneo, da superare velocemente per giungere al lieto fine. Tuttavia, in questo modo si priva la Croce del suo significato profondo, banalizzando il dramma del male e della sofferenza che continuano a influenzare la nostra storia. Si dimentica che la Risurrezione non elimina la Croce, ma la trasfigura, conferendole un nuovo significato.

La Risposta di Dio sulla Croce: "Io Ti Amo Sempre"

La vera comprensione, quella a cui sono giunti gli Apostoli dopo la Pentecoste, illuminati dallo Spirito Santo, è radicalmente diversa. Dio non ha voluto la sofferenza, ma l'ha assunta su di sé. Dio non era assente sul Golgota, ma era presente in quel Figlio che agonizzava sulla croce.

La Croce non è il segno dell'abbandono di Dio, ma il luogo supremo della sua rivelazione. Lì, nel silenzio apparente, nel dolore estremo, Dio manifesta la misura sconfinata del suo amore per l'umanità. Come scrive San Paolo: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8).

Sulla croce, Dio non risponde al male con altro male, non risponde all'odio con la vendetta, ma con un amore che perdona, che si dona senza riserve, che vince la morte stessa. Sulla croce, Dio continua a sussurrare a ogni uomo e donna di ogni tempo: "Io ti amo sempre, comunque. Io sono con te, anche nelle tue tenebre più fitte. Il mio amore è più forte del peccato e della morte".

Accogliere l'Amore per Diventare Testimoni di Speranza

Meditare la Passione significa lasciarsi raggiungere da questo amore crocifisso. Significa riconoscere che anche nelle nostre oscurità, nelle nostre fatiche, nei nostri "perché" senza risposta immediata, Dio è presente, soffre con noi e ci sostiene.

Accogliere questo amore ci trasforma. Ci rende capaci, a nostra volta, di amare come Lui ci ha amato (cfr. Gv 13,34). Ci spinge a non rassegnarci di fronte al male del mondo, ma a diventare, con la forza che viene da Lui, costruttori di ponti, seminatori di pace, testimoni di una speranza che non delude, perché fondata sulla vittoria di Cristo sulla morte.

La Passione non è solo memoria, ma evento che ci interpella oggi. Ci invita a scendere dai nostri piedistalli, a riconoscere la nostra fragilità e il nostro bisogno di salvezza, e ad aprirci all'amore sconfinato di Dio che, dalla Croce, continua a rinnovare il mondo e a offrirci un futuro di vita e di speranza.

Maria e il coraggio di camminare: dalla paura alla fede

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Un mese mariano nel cuore della pasqua

Maggio è arrivato, portando con sé la bellezza della primavera e la devozione speciale che la tradizione dedica a Maria. Ma questo mese non è un'isola nel calendario liturgico. Si inserisce pienamente nel Tempo Pasquale, un periodo luminoso segnato dall'Alleluia, dalla scoperta progressiva del Cristo Risorto e dall'attesa dello Spirito Santo promesso a Pentecoste.

Contemplare Maria a Maggio significa, quindi, guardare a lei all'interno di questo mistero centrale della nostra fede. La preghiera del Regina Caeli, tipica di questo tempo, ci invita a gioire con lei per la Risurrezione del Figlio. Maria diventa così la guida perfetta per imparare a vivere la fede pasquale, specialmente nell'attesa fiduciosa dello Spirito.

Ma come i primi discepoli, anche noi possiamo sentirci smarriti, timorosi. Ed è qui che la presenza silenziosa e forte di Maria ci viene in aiuto, invitandoci a guardare oltre le nostre paure.

Chiusi nel Cenacolo: la paura ieri e oggi

I giorni che trascorsero tra la Risurrezione e la Pentecoste videro i discepoli riuniti nel Cenacolo, timorosi e incerti sul futuro. Nonostante il Risorto fosse apparso loro più volte, rimanevano paralizzati dalla paura. Questa condizione non riflette forse la nostra situazione attuale?

Anche noi, pur professando la fede nel Risorto e avendone forse fatto esperienza nei momenti di rinascita personale, nelle riconciliazioni inaspettate, nella scoperta di un senso più profondo nelle difficoltà, continuiamo a vivere nel timore. Le guerre che devastano diverse parti del mondo, la violenza che sembra permeare ogni aspetto della società e le divisioni che lacerano persino la comunità ecclesiale contribuiscono certamente a questo clima di apprensione. Sono paure reali.

Ma c'è una paura più sottile, forse la più insidiosa: la paura del cambiamento. Viviamo in un'epoca di trasformazioni veloci che ci destabilizzano, ci fanno sentire come se perdessimo l'equilibrio. Ci aggrappiamo al conosciuto, resistiamo al nuovo, temendo di perdere la nostra identità o la nostra fede. Ma siamo sicuri che questa resistenza sia vera fedeltà e non, piuttosto, paura di lasciar andare il controllo e, per questo, poca fede?

Camminare è perdere l'equilibrio: la fede come fiducia nel movimento

Pensiamo a come camminiamo: ogni passo è un piccolo rischio, una perdita momentanea di equilibrio per poter avanzare. È un continuo sbilanciarsi e ritrovarsi. L'immobilità è segno di morte; il movimento, anche incerto, è vita. Applicando questo alla vita spirituale, capiamo che crescere nella fede, essere fedeli al Vangelo in un mondo che cambia, richiede la capacità di accettare l'instabilità, di "perdere l'equilibrio" per poter andare avanti. La paura del cambiamento assomiglia alla paura di fare il primo passo.

Per camminare serve fiducia: nel nostro corpo, nel terreno, nella meta. Allo stesso modo, per affrontare i cambiamenti della vita e della Chiesa serve una profonda fiducia spirituale: fiducia che Dio è presente anche nel caos, che lo Spirito guida la storia, che Cristo è il nostro appoggio sicuro anche quando le certezze umane vacillano. Questa fiducia dinamica è la fede. La fede non elimina l'instabilità, ma la trasforma in progresso.

Se la fede è questa fiducia che permette di camminare nell'incertezza, allora la paura paralizzante del cambiamento potrebbe essere un sintomo di una fede debole. Una resistenza ostinata al nuovo può nascondere la difficoltà a credere davvero che Dio è il Signore della storia e agisce anche oggi, in modi che non sempre capiamo. Risuona la domanda di Gesù: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8). È legittimo interrogarsi se la nostra angoscia di fronte al cambiamento non sia, in fondo, espressione di una fede vacillante.

Colei che rimase fedele e ci sprona all'audacia

Torniamo al Cenacolo. Mentre molti erano paralizzati dalla paura, gli Atti degli Apostoli ci dicono che Maria, "la madre di Gesù", era lì, perseverante nella preghiera insieme agli altri (Atti 1,14). Lei, che aveva già accolto lo Spirito e custodito tutto nel suo cuore (Lc 2,19), diventa il punto fermo, la custode della fede per la comunità nascente. La sua presenza orante non è solo conforto, ma un vero sostegno spirituale che prepara la Chiesa a ricevere il dono della Pentecoste.

Maria compie questa missione al modo di una madre. Come madre, si preoccupa che i suoi figli siano pronti per l'incontro più importante della loro vita: quello con lo Spirito Santo. E come ogni madre, desidera che siano preparati, "in ordine". L'amore di Maria per noi, suoi figli è tenero ma anche esigente. Come una buona madre desidera la crescita e la piena realizzazione dei figli, così Maria ci sprona alla santità, a dare il meglio di noi stessi, ad avere il coraggio della fede. Questo suo desiderio non è in contrasto con la misericordia di Dio, ma ne è un riflesso. Maria ci vuole santi perché Dio ci vuole santi (Ef 1,4).

La “santa esigenza” di Maria

Contrariamente a una visione riduttiva che talvolta ci viene proposta, Maria non è "più buona e misericordiosa" di Dio. Piuttosto, la sua bontà si manifesta proprio nella sua santa esigenza, tipica dell'amore materno autentico. Ci ama troppo per lasciarci nella mediocrità spirituale; desidera per noi il meglio.

Il comportamento di Maria nei nostri confronti è caratterizzato da un incoraggiamento a osare, anche quando ciò sembra andare contro la prudenza umana. La sua stessa vita è un esempio di questa fede audace, pensiamo all'episodio delle nozze di Cana, dove sollecita Gesù a compiere il suo primo segno nonostante l'apparente riluttanza iniziale del Figlio. Ma ancora più emblematico è il momento dell'Annunciazione, quando Maria, con audacia spirituale, pronuncia il suo "sì" a qualcosa di umanamente incomprensibile, affrontando lo scandalo e l'incomprensione sociale.

La sua fedeltà raggiunge il culmine sotto la croce, dove rimane ferma mentre il suo cuore viene trafitto da una spada di dolore. Lì dove qualsiasi madre sarebbe stata sopraffatta dalla disperazione, Maria resta eretta, sostenuta unicamente dalla fede. L'evangelista Giovanni la descrive mentre "stava" (histēmi) presso la croce. In piedi, non prostrata, testimone di una fede che resiste anche di fronte alla morte.

L'amore esigente di Maria ci chiama quindi a uscire dalla passività e dalla paura, a diventare protagonisti coraggiosi della nostra fede e della missione della Chiesa.

Affidarsi a Maria per camminare nella fede

Guardiamo a Maria come modello per superare la paura, specialmente quella del cambiamento che ci fa temere la perdita di equilibrio. Lei ci insegna che proprio accettando l'instabilità con fiducia – cioè con fede – possiamo camminare e crescere.

Il suo amore materno, forte e tenero, ci sprona a non accontentarci, a osare nella fede come ha fatto lei. La vera fede non consiste nel rimanere aggrappati alle certezze del passato, ma nell'affidarsi al Dio che fa nuove tutte le cose.

Affidiamoci dunque a questa Madre esigente e amorevole, chiedendole di aiutarci a riconoscere i segni della presenza di Dio nelle trasformazioni che talvolta ci spaventano. Con lei come guida, possiamo imparare a "stare" saldi nella prova e a "camminare" con speranza, anche quando l'equilibrio sembra precario, passando dal cenacolo chiuso delle nostre paure all'apertura gioiosa della Pentecoste.