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Il frutto della vite, il lavoro dei fratelli: un dono per celebrare la Pasqua insieme

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La Pasqua di quest'anno si carica di un significato ancora più profondo per le Chiese in Oriente e in Occidente, che celebreranno la Resurrezione del Signore nello stesso giorno, il 20 aprile. Questa felice coincidenza è resa ancora più speciale dalla ricorrenza del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, un evento fondamentale che ha sancito la definizione del Credo, un pilastro che unisce tutta la cristianità.

In questo clima di ritrovata unità e di memoria storica condivisa, la fraternità tra diverse confessioni cristiane del nostro territorio si manifesta con un gesto di profonda amicizia e significato spirituale. I Frati Minori di Monte Mesma e del Sacro Monte di Orta, insieme ai fratelli e le sorelle della Chiesa Evangelica Metodista di Omegna e ai Monaci Ortodossi di Arona, si preparano a scambiarsi reciprocamente il vino che, durante le celebrazioni pasquali, diverrà il Sangue di Cristo.

Questo scambio di dono avverrà lunedì 14 aprile, all'inizio della Settimana Santa, al termine dei Vespri celebrati nel Monastero Ortodosso del Cristo Pantocratore di Arona alle ore 18.00. In quel momento solenne, il vino, frutto della vite e del lavoro dell'uomo, sarà donato reciprocamente come segno tangibile della condivisione delle gioie e delle fatiche di tutti i fratelli cristiani. Un pensiero che accompagnerà le parole pronunciate durante la presentazione dei doni all'altare: "frutto della vite e del lavoro dell'uomo".

Questo significativo momento è stato preceduto da un altro tangibile segno di fraternità e stima reciproca. Domenica 30 marzo, la comunità dei Frati Minori e la Chiesa Metodista di Omegna hanno vissuto l'esperienza dello scambio di pulpito. Fra Maggiorino, Guardiano della Fraternità francescana, ha condiviso la sua predicazione durante la celebrazione evangelica di Omegna, mentre il Pastore Marco Gisola ha portato la sua riflessione ai fedeli riuniti nella Messa vespertina al Monte Mesma (come raccontato nell'articolo disponibile qui).

Attraverso questo scambio di vino, desideriamo sottolineare l'importanza di ciò che ci unisce come cristiani. Al di là delle specificità teologiche e liturgiche, riconosciamo un fondamento comune nella fede in Cristo Risorto. Il vino, elemento centrale della celebrazione eucaristica per molte confessioni, diviene in questo contesto un simbolo potente di questa unità ritrovata e desiderata. Il riferimento al "lavoro dell'uomo" che lo produce ci ricorda come la nostra fede si incarni nella vita quotidiana, nelle gioie e nelle sfide che condividiamo con tutti i nostri fratelli.

L'auspicio è che questo gesto possa suscitare nei fedeli una riflessione profonda sull'essenziale della nostra fede, su ciò che già ci vede uniti nel nome di Cristo. In questo cammino ecumenico, fatto di piccoli ma significativi passi, coltiviamo la speranza di una sempre maggiore comprensione e collaborazione tra le diverse espressioni del cristianesimo.

Il Silenzio che Prepara l'Aurora: Abitare l'Attesa tra la Croce e la Vita Nuova

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“È compiuto!”. Con queste parole, riportate nel Vangelo di Giovanni, Gesù consegna lo spirito sulla croce, e cala un silenzio profondo. La terra sembra trattenere il respiro. La narrazione evangelica non riporta reazioni immediate dai discepoli, tutto appare sospeso. Questo silenzio non è solo assenza di suono, ma il peso della perdita e dello smarrimento. Gesù, la Parola fatta carne, ora giace muto nel sepolcro. La sua voce e i suoi gesti, che portavano consolazione, sono un ricordo lontano. Per i discepoli, il silenzio è assordante, riflette la loro confusione e paura. Pietro ha rinnegato il Maestro, gli altri si sono dispersi per timore. Il silenzio di Dio crea una tensione fortissima. La Parola per mezzo della quale tutto è stato fatto ora tace, sconfitta apparentemente dalla morte. È davvero solo la fine? O nasconde una promessa, un preludio a qualcosa di inaudito? Come risuona questo silenzio nelle nostre vite, nei momenti bui in cui la speranza vacilla?

Quando Dio Sembra Tacere: Il Peso dell'Attesa

Quante volte nella vita ci troviamo a vivere un nostro "sabato santo"? Un tempo sospeso, un’attesa infinita: la risposta a una preghiera che non arriva, una guarigione che sembra impossibile, un cambiamento che non si concretizza. L'incertezza del futuro, il peso di un lutto, il dubbio che corrode la fede. Sono momenti in cui il silenzio di Dio può diventare assordante. Quando la sofferenza ci avvolge, ci chiediamo: "Dove sei, Signore?". Questo silenzio può generare angoscia e smarrimento, persino un senso di ribellione, facendoci sentire soli come i discepoli dopo la morte di Gesù: confusi, impauriti, senza una direzione chiara. È importante riconoscere che sentirsi così fa parte dell'esperienza umana e spirituale. Non siamo i primi né gli ultimi a percorrere questa valle oscura.

Il giorno liturgico che la Chiesa dedica al silenzio e all'attesa ci ricorda proprio questo: Cristo stesso ha condiviso la nostra condizione umana fino in fondo, fino all'esperienza della morte e del silenzio del sepolcro. La sua discesa "agli inferi", nel regno della morte (Sheol o Ade), non è un mito astratto, ma l'espressione della sua radicale solidarietà con noi. Egli ha raggiunto l'umanità nella sua condizione più estrema, là dove regna l'assenza apparente di Dio.

Ma questo silenzio divino, pur mettendoci alla prova, non è segno di abbandono. Può essere uno spazio misterioso e necessario dove la nostra libertà si esprime nella fede, basata sulla fiducia in Dio. Una fede che non si appoggia su segni evidenti o risposte immediate, ma sulla fiducia nuda in Colui che ha promesso. La discesa di Cristo nel silenzio della morte, inoltre, trasforma questo silenzio in una presenza attiva, proclamando la liberazione ai giusti e rendendo l'abisso della morte un luogo di solidarietà divina.

Semi di Coraggio nel Buio

Proprio nel momento più buio, quando il Maestro è morto, i discepoli più vicini sono paralizzati dalla paura e Dio sembra aver voltato le spalle, emergono due figure inaspettate: Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Entrambi erano discepoli di Gesù, ma in segreto, "di nascosto per timore dei Giudei". Giuseppe era un membro autorevole del Sinedrio, Nicodemo un fariseo e un capo dei Giudei, venuto da Gesù di notte. Figure rispettate, ma timorose di compromettere la loro posizione.

Eppure, è proprio ora, nell'ora della sconfitta apparente, che trovano un coraggio sorprendente. Giuseppe si fa animo, chiede a Pilato il corpo di Gesù (Gv 19,38). Un atto non privo di rischi, dato che chiedere il corpo di un giustiziato per motivi politici poteva attirare sospetti. Nicodemo, l'uomo del dialogo notturno e delle domande caute, si unisce a lui, portando trenta chilogrammi, una quantità impressionante, di mirra e aloe, per preparare il corpo alla sepoltura. È come se, vedendo l'amore spinto fino all'estremo sulla croce, la loro paura si fosse dissolta.

Il Giardino del Nuovo Inizio

Il vangelo di Giovanni pone una particolare enfasi sul luogo della sepoltura: “Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo...” (Gv 19,41). Questa non è una semplice nota topografica, ma un dettaglio carico di significato simbolico. È facile vedere il richiamo diretto al giardino dell’Eden, luogo della creazione ma anche della caduta.

La collocazione del sepolcro all'interno del giardino, e il giardino stesso nel luogo della crocifissione, sottolinea potentemente l'intima connessione tra morte e risurrezione. La redenzione non avviene fuggendo dalla sofferenza e dalla morte, ma trasformandole dall'interno. La vita nuova non germoglia lontano dal luogo della caduta e del dolore, ma proprio lì, fecondando la terra stessa della nostra mortalità.

L'Attesa Feconda: Il Silenzio Non È Vuoto

Arriviamo così al cuore del messaggio: il tempo che intercorre tra l'evento della Croce e l'alba della Risurrezione, quel tempo simboleggiato dal grande silenzio del Sabato Santo, non è un vuoto sterile. Non è un'assenza priva di significato. È, piuttosto, uno spazio di transizione denso e carico di promessa. È un'oscurità fertile, come quella della terra che accoglie il seme, dove la vita nuova sta misteriosamente germogliando. È una pausa necessaria nel grande dramma della salvezza, la fase nascosta di una trasformazione radicale.

Dio è potentemente all'opera anche quando tutto sembra immobile, silenzioso, finito. Non esiste luogo, nemmeno l'abisso della morte o della nostra disperazione più profonda, che sia fuori dalla portata della sua azione salvifica. Cristo scende anche nei nostri "inferi" personali, nelle nostre oscurità, per portarvi la sua luce e la sua speranza.

Questa dinamica di trasformazione dal buio alla luce, dalla distruzione alla ricostruzione, è splendidamente catturata in un'antica e potente orazione della Veglia Pasquale:

«O Dio, potenza immutabile e luce che non tramonta, guarda con amore al mirabile sacramento di tutta la Chiesa e compi nella pace l’opera dell’umana salvezza secondo il tuo disegno eterno; tutto il mondo riconosca e veda che quanto è distrutto si ricostruisce, quanto è invecchiato si rinnova, e tutto ritorna alla sua integrità, per mezzo di Cristo, che è principio di ogni cosa».

Questa preghiera ci assicura che, anche nel cuore del silenzio e dell'apparente rovina, l'azione creatrice e ricreatrice di Dio è all'opera per riportare tutto alla sua pienezza originale, attraverso Cristo.

Vivere nel Silenzio con Fiducia

I tempi di silenzio, di attesa, di apparente assenza di Dio non sono incidenti di percorso nel cammino della fede, ma ne fanno parte integrante. Sono momenti che ci accomunano all'esperienza dei discepoli e a quella di innumerevoli uomini e donne lungo la storia. Non sono tempi da fuggire o da riempire frettolosamente di rumore, ma da "abitare".

Abitare il silenzio non significa subirlo passivamente. Significa scegliere di rimanere presenti: presenti a noi stessi, con le nostre paure e le nostre domande; presenti a Dio, anche quando la sua voce sembra lontana. Significa coltivare un ascolto interiore più profondo, un'attenzione vigile.

Siamo invitati ad abitare questi tempi con la stessa "quieta fiducia". La fiducia di Maria, ma anche quella, nata nel crogiolo della crisi, di Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. La fiducia che il seme gettato nel solco oscuro della sofferenza, della morte e del silenzio non marcisce inutilmente, ma sta preparando un frutto inaspettato.

Possiamo allora accogliere i nostri "sabati santi", personali e collettivi, non come tempi di vuoto e disperazione, ma come spazi potenzialmente fecondi. Spazi per approfondire la nostra fiducia in Dio al di là delle evidenze sensibili, per coltivare la virtù tenace della speranza, e per aprirci all'azione nascosta ma potente di Colui che, dal silenzio più profondo, sa sempre far scaturire una nuova aurora di vita.

La Presenza del Risorto nella quotidianità

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Nel brano del Vangelo di Luca (24,35-48) che racconta l'apparizione di Gesù risorto ai discepoli, colpisce un dettaglio apparentemente marginale ma carico di significato: "Gesù in persona stette in mezzo a loro". L'evangelista non specifica come Gesù sia entrato nella stanza, se attraverso porte chiuse, muri, o manifestandosi improvvisamente. Questa assenza di dettagli ci invita a riflettere sulla natura della presenza del Risorto.

Una presenza reale ma misteriosa

La reazione di turbamento dei discepoli, che pensano di vedere un fantasma, è comprensibile. Eppure Gesù dimostra la concretezza della sua presenza mostrando le mani e i piedi segnati dai chiodi e addirittura mangiando un pezzo di pesce arrostito. Questo gesto semplice e quotidiano stabilisce un legame profondo tra la dimensione trascendente della Risurrezione e la nostra realtà terrena.

Questa scena evangelica riflette ciò che avviene nelle nostre liturgie. Durante la celebrazione eucaristica, infatti, il Risorto "sta in mezzo" all'assemblea. Come ricorda la Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II: "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche" (SC 7). Ogni liturgia è effettivamente "pasquale" poiché rende presente il mistero della morte e risurrezione di Cristo, anche al di fuori del tempo di Pasqua.

Presenza nonostante noi

Nel brano degli Atti degli Apostoli (3,11-26), emerge un altro aspetto significativo. Di fronte alla guarigione dello storpio, la folla attribuisce il miracolo al potere di Pietro e Giovanni. Gli apostoli chiariscono subito: non è per loro potere o religiosità che quell'uomo cammina, ma per la potenza di Dio. E aggiungono un elemento sorprendente: nonostante il popolo abbia rinnegato Gesù, preferendogli un assassino, "Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti".

Si manifesta qui un tratto essenziale dell'azione divina: Dio opera nella storia nonostante i nostri fallimenti e tradimenti. Il Risorto è presente non in virtù della nostra perfezione, ma per la fedeltà di Dio al suo progetto d'amore.

La quotidianità della presenza

Spesso immaginiamo che la presenza di Dio richieda condizioni particolari, ambienti sacri, preparazioni meticolose. Certamente il rispetto e la cura delle celebrazioni sono importanti, ma il Risorto ci sorprende mostrandosi nelle situazioni più ordinarie, come mentre i discepoli condividono un pasto.

Un invito alla consapevolezza

Se davvero crediamo che il Risorto è presente in mezzo a noi, perché le nostre espressioni e posture non sempre lo manifestano? Forse perché, come i discepoli inizialmente turbati, facciamo fatica a riconoscerlo. O forse perché, abituati a una visione magica o spettacolare del divino, non sappiamo cogliere la sua presenza nella semplicità del quotidiano.

Il Risorto ci mostra le sue ferite, segno delle nostre mancanze, ma anche della sua vittoria. Ci invita a riconoscerlo presente non in un altrove idealizzato, ma nella concretezza della nostra storia, con tutti i suoi limiti e contraddizioni.

La liturgia ci educa gradualmente a questa consapevolezza, aiutandoci a riconoscere che Cristo "sta in mezzo" alla comunità riunita, ma anche nella Parola proclamata, nel Pane spezzato, e nei fratelli con cui condividiamo il cammino.

Il dono pasquale è proprio questo: scoprire che il Risorto abita già la nostra vita, non attende che noi siamo perfetti per farsi presente, ma è già lì, in attesa che i nostri occhi si aprano per riconoscerlo.