Riconoscere il Risorto sulle Rive della Vita Quotidiana
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Il Vangelo di Giovanni ci accompagna, dopo il terremoto interiore della Pasqua, sulle sponde familiari del Mare di Tiberiade (cfr. Gv 21,1-19). Non siamo nel chiuso del Cenacolo, né in un giorno liturgicamente definito come "il primo della settimana" o "otto giorni dopo". Siamo semplicemente "dopo questi fatti", in un tempo che sembra quasi sospeso, feriale. E il luogo non è Gerusalemme, cuore della fede d'Israele, ma il Mare di Tiberiade, un nome che porta l'eco dell'impero romano, della politica, di una terra forse considerata impura, "pagana". È qui, in questo scenario di normalità, quasi di ritorno alla routine, che Gesù sceglie di manifestarsi. Non un'apparizione fugace, ma una rivelazione profonda che accade non nel tempio, ma sulla riva di un lago, durante un'attività lavorativa comune: la pesca.
Questo ci dice qualcosa di fondamentale sulla Pasqua e sulla presenza del Risorto. Egli non abita solo gli spazi sacri o i tempi forti della liturgia. Viene a cercarci nella nostra "Galilea", nel luogo delle nostre origini, certo, ma anche nel luogo del nostro lavoro quotidiano, delle nostre fatiche, delle nostre preoccupazioni. Si manifesta non necessariamente la domenica, ma in un giorno qualunque, mentre siamo intenti alle nostre occupazioni, forse persino distratti o scoraggiati. La sua presenza trasfigura l'ordinario, rivelando che ogni luogo e ogni tempo possono diventare spazio d'incontro con Lui.
La Notte della Fatica e l'Iniziativa Umana
È notte. Un tempo che nel Vangelo di Giovanni spesso simboleggia l'assenza della luce di Cristo, il tempo in cui "nessuno può agire" («Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire», Gv 9,4). Ed è in questa notte che Pietro, forse per scacciare l'incertezza, forse per un bisogno di tornare a ciò che conosceva bene, dichiara: "Io vado a pescare". Non è un mandato ricevuto, non è un'ispirazione dello Spirito; è un'iniziativa personale, umana. Gli altri discepoli lo seguono: "Veniamo anche noi con te".
Escono, salgono sulla barca, gettano le reti con la perizia di pescatori esperti. Ma il risultato è nullo: "quella notte non presero nulla". È l'immagine potente della sterilità dell'agire umano, anche quando competente e collaborativo, se sganciato dalla sorgente della Vita, se intrapreso di notte, senza la luce della Sua Parola e della Sua presenza. Quante volte anche noi, nelle nostre vite personali, nelle nostre comunità, intraprendiamo iniziative basate sulle nostre forze, sulle nostre analisi, sulla nostra buona volontà, ma al di fuori di un vero ascolto dello Spirito, di un mandato che viene da Lui? E quante volte, dopo tanta fatica, ci ritroviamo a mani vuote, con le reti della nostra anima desolatamente vuote? Quella notte sul lago è la notte di ogni sforzo che non nasce dall'ascolto profondo di Dio.
L'Alba dell'Incontro e la Parola che Feconda
Ma la notte non è per sempre. "Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva". La luce sorge, e con essa la presenza discreta, quasi nascosta, del Signore. Loro non lo riconoscono subito. Hanno bisogno di una parola, di un segno. È Lui a prendere l'iniziativa, con una domanda carica di tenerezza: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". La loro risposta è la confessione della loro impotenza: "No".
È a questo punto, nel riconoscimento del loro limite, della loro incapacità a produrre frutto da soli, che la Parola del Risorto può intervenire con potenza creatrice: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". Non dice semplicemente "riprovate", ma dà un'indicazione precisa, forse illogica secondo le consuetudini, ma autorevole. E loro, nonostante la stanchezza e la delusione, obbediscono.
L'obbedienza alla Sua Parola trasforma la sterilità in fecondità sovrabbondante: "non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci". È il segno che l'efficacia della nostra vita, della nostra missione, non dipende primariamente dalle nostre capacità o strategie, ma dalla nostra docilità alla Sua voce, anche quando ci chiede di gettare le reti in direzioni inaspettate o umanamente poco promettenti.
Riconoscere la Presenza nell'Amore e nella Cura
È l'abbondanza del dono, frutto dell'obbedienza, a far scattare il riconoscimento. Il discepolo amato, colui che vive nell'intimità del cuore di Gesù, intuisce per primo: "È il Signore!". Possiamo affermare che soltanto colui che ha esperienza dell’amore di Gesù sa leggere i segni. L'amore apre gli occhi dell'anima. Pietro, scosso da questa rivelazione, si getta in mare, con un gesto che esprime tutta la sua foga e forse il suo desiderio di riparare.
Ma il riconoscimento più pieno avviene a terra, davanti a un altro segno, ancora più intimo e disarmante: "videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane". Gesù non li aspetta a mani vuote. Ha già preparato per loro, si è preso cura dei loro bisogni primari, della loro fame, della loro stanchezza. È il Dio che serve, che cucina per i suoi figli. Quel fuoco di brace richiama forse l'altro fuoco, quello del tradimento di Pietro, ma ora è trasformato in calore di perdono e di comunione.
Gesù li invita: "Venite a mangiare". E in quel gesto semplice e familiare di spezzare il pane e dare loro il pesce, eco dell'Eucaristia, ogni dubbio svanisce: "sapevano bene che era il Signore". Lo riconoscono non solo nella potenza del miracolo, ma nella tenerezza della sua cura, nella familiarità dei suoi gesti.
Chiede anche il loro pesce, non perché ne abbia bisogno, ma per valorizzare il frutto della loro obbedienza, per integrare la loro fatica nel suo dono. La nostra vita, la nostra missione, è questa meravigliosa sinergia: il suo dono che ci precede e ci sostiene, e il nostro piccolo contributo, reso fecondo dalla sua Parola, che Egli accoglie e integra nella sua opera di salvezza.
Vivere la Pasqua nel Quotidiano
Cosa ci dice oggi questo Vangelo? Ci ricorda che il Signore Risorto non è confinato nelle nostre chiese o nelle nostre celebrazioni. Egli cammina sulle rive della nostra vita quotidiana, si fa presente nei nostri luoghi di lavoro, nelle nostre case, nelle nostre relazioni. Si manifesta non solo nei momenti di preghiera esplicita, ma anche attraverso le circostanze, gli incontri, le parole inattese che ci raggiungono.
Ci invita a discernere le nostre "notti", quei momenti in cui ci affanniamo basandoci solo sulle nostre forze, sulle nostre iniziative, magari anche generose, ma non radicate in un ascolto profondo della sua volontà. Ci chiama a riconoscere la sterilità di un agire che non parte da Lui.
E ci invita, soprattutto, a stare in ascolto della sua voce che ci raggiunge all'alba, dopo le nostre notti infruttuose. Ci chiede di fidarci della sua Parola, anche quando ci indica strade che la nostra logica umana scarterebbe. Ci chiede di gettare le reti "dalla parte destra", dalla parte della fede, dell'abbandono fiducioso, della carità gratuita.
Solo così la nostra vita può diventare feconda. Solo così possiamo sperimentare l'abbondanza del suo dono. E solo così, nell'esperienza di una vita resa fruttuosa dalla sua grazia e nella contemplazione della sua cura premurosa per noi, possiamo davvero riconoscerlo e dire, con il cuore pieno di stupore e gratitudine: "È il Signore!". La Pasqua si vive così: lasciando che la Sua presenza risorta illumini e fecondi la nostra Galilea quotidiana.