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La questione di un dio che pare assente

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Il racconto della Passione di Gesù, che la liturgia ci ripropone con forza nella Settimana Santa, non è semplicemente la cronaca di eventi accaduti duemila anni fa in una lontana provincia dell'Impero Romano. È una storia viva, pulsante, che continua a ripetersi e a interpellarci profondamente nel nostro presente.

L'Oscurità sulla Terra e nel Cuore

Gli evangelisti descrivono le ore culminanti della vita terrena di Gesù avvolte da un'oscurità innaturale: "Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio" (Lc 23,44). Quel buio che copre il Golgota non è solo un fenomeno cosmico, ma il simbolo potente delle tenebre che avvolgono il cuore umano di fronte al male, all'ingiustizia, alla sofferenza innocente.

Non dobbiamo guardare lontano per ritrovare quella stessa oscurità. Basta aprire un giornale, ascoltare un notiziario: guerre che dilaniano popoli, violenze che calpestano la dignità umana, catastrofi naturali e crisi sociali che gettano nello sconforto intere comunità. Il grido di dolore che sale dalla terra oggi riecheggia potentemente il travaglio vissuto da Gesù sulla croce. La sua Passione non è solo una vicenda antica, ma lo specchio fedele del dramma dell'umanità di ogni tempo.

Il Grido dello Scandalo: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?"

Al centro della Passione risuona un grido che lacera il silenzio e sfida ogni nostra certezza: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,45; Mc 15,34). È il grido di Gesù sulla croce, riportato da Matteo e da Marco. Anche se l'evangelista Luca attenua questo scandalo riportando le parole di affidamento "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,6), il grido di abbandono rimane, sconvolgente.

Quante volte, nel cuore della prova, nella malattia, nel lutto, nell'ingiustizia subita, questo stesso grido sale anche dalle nostre labbra? Quanti uomini e donne, oggi, si sentono persi, dimenticati, abbandonati da un dio che sembra sordo e lontano? La Passione ci costringe a confrontarci con questo scandalo: lo scandalo di un Messia sofferente e di un mondo che, a tratti, sembra privo della presenza divina.

Fughe e Tentativi di Spiegazione

Di fronte a questo mistero l'umanità ha spesso cercato scorciatoie, tentativi di "addomesticare" lo scandalo della Croce.

Una prima via è stata quella di pensare a un Dio che ha bisogno della sofferenza, quasi che il dolore fosse un prezzo necessario da pagare per la salvezza, un tributo richiesto persino al Figlio innocente. Ma può un Dio d'Amore nutrirsi di sofferenza? Può un Padre desiderare la morte atroce del Figlio? Questa immagine deforma il volto di Dio rivelato da Gesù stesso. Come afferma l'apostolo Giovanni: "Dio è amore" (1 Gv 4,8).

Un'altra strategia, forse più diffusa, è quella di saltare rapidamente dalla Croce alla Risurrezione. Si vede la Passione come un semplice incidente di percorso, un momento oscuro ma temporaneo, da superare velocemente per giungere al lieto fine. Tuttavia, in questo modo si priva la Croce del suo significato profondo, banalizzando il dramma del male e della sofferenza che continuano a influenzare la nostra storia. Si dimentica che la Risurrezione non elimina la Croce, ma la trasfigura, conferendole un nuovo significato.

La Risposta di Dio sulla Croce: "Io Ti Amo Sempre"

La vera comprensione, quella a cui sono giunti gli Apostoli dopo la Pentecoste, illuminati dallo Spirito Santo, è radicalmente diversa. Dio non ha voluto la sofferenza, ma l'ha assunta su di sé. Dio non era assente sul Golgota, ma era presente in quel Figlio che agonizzava sulla croce.

La Croce non è il segno dell'abbandono di Dio, ma il luogo supremo della sua rivelazione. Lì, nel silenzio apparente, nel dolore estremo, Dio manifesta la misura sconfinata del suo amore per l'umanità. Come scrive San Paolo: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8).

Sulla croce, Dio non risponde al male con altro male, non risponde all'odio con la vendetta, ma con un amore che perdona, che si dona senza riserve, che vince la morte stessa. Sulla croce, Dio continua a sussurrare a ogni uomo e donna di ogni tempo: "Io ti amo sempre, comunque. Io sono con te, anche nelle tue tenebre più fitte. Il mio amore è più forte del peccato e della morte".

Accogliere l'Amore per Diventare Testimoni di Speranza

Meditare la Passione significa lasciarsi raggiungere da questo amore crocifisso. Significa riconoscere che anche nelle nostre oscurità, nelle nostre fatiche, nei nostri "perché" senza risposta immediata, Dio è presente, soffre con noi e ci sostiene.

Accogliere questo amore ci trasforma. Ci rende capaci, a nostra volta, di amare come Lui ci ha amato (cfr. Gv 13,34). Ci spinge a non rassegnarci di fronte al male del mondo, ma a diventare, con la forza che viene da Lui, costruttori di ponti, seminatori di pace, testimoni di una speranza che non delude, perché fondata sulla vittoria di Cristo sulla morte.

La Passione non è solo memoria, ma evento che ci interpella oggi. Ci invita a scendere dai nostri piedistalli, a riconoscere la nostra fragilità e il nostro bisogno di salvezza, e ad aprirci all'amore sconfinato di Dio che, dalla Croce, continua a rinnovare il mondo e a offrirci un futuro di vita e di speranza.